Intervento del card. Gianfranco Ravasi al Sinodo
per la Nuova Evangelizzazione.
Nella cultura contemporanea sono molti i crocevia che
l’evangelizzazione non può evitare.
C’è innanzitutto quello del linguaggio.
Senza abbandonare la complessità del discorso religioso, è necessario saper
adottare anche i nuovi canoni della comunicazione telematica e digitale con la
loro incisività ed essenzialità e col loro ricorso al racconto televisivo per
immagini.
C’è, poi, l’orizzonte della secolarizzazione.
Essa non riesce, però, a eliminare la domanda religiosa e la forza dell’etica
naturale. In questo ambito sta operando con successo il “Cortile dei Gentili”
sollecitato da Benedetto XVI con la sua evocazione del Dio sconosciuto ma forse
cercato da molti non credenti.
C’è un terzo ambito di evangelizzazione che è stato per secoli
decisivo, ed è quello dell’arte che esige oggi di essere
ritessuto secondo la nuova grammatica e stilistica delle espressioni artistiche
contemporanee senza perdere il legame con la sacralità del culto cristiano.
C’è poi il crocevia delle culture giovanili
con le loro esperienze socializzanti spesso rischiose ma anche dotate di una
loro fecondità: si pensi solo agli eventi e alla pratica sportiva o al costante
ricorso alla musica.
C’è, infine, il mondo della scienza e della tecnica,
ormai trasversale a ogni etnia e cultura, al quale vorrei dedicare una
considerazione specifica. In esso la fede non deve temere di inoltrarsi, avendo
lo stesso sguardo di Cristo che contemplava vegetali e animali e ricorreva
persino alle previsioni meteorologiche (Mt 16,2-3; Lc 11,54-55) per annunciare
il Regno, sulla scia dell’Antico Testamento che nel creato intuiva una voce
trascendente, come suggerisce il Salmo 19. Oggi il nostro sguardo può fissarsi
con stupore anche sulla trama dell’evoluzione globale, dal fondo cosmico
primordiale fino all’elica del DNA, dal bosone di Higgs fino al multiverso.
All’incompatibilità tra scienza e fede e alla prevaricazione
dell’una sull’altra e viceversa, come è accaduto in passato e come talora
accade, è necessario sostituire il reciproco
riconoscimento della dignità dei rispettivi statuti epistemologici:
la scienza si dedica alla “scena”, cioè al fenomeno, mentre la teologia e la
filosofia si rivolgono al “fondamento”. Distinzione, quindi, ma non separatezza
ed esclusione reciproca, essendo unico e comune l’oggetto, ossia l’essere e
l’esistere. È, quindi, comprensibile che spesso scattino sconfinamenti e
tensioni, soprattutto in campo bioetico.
Indispensabile è, perciò,
il dialogo senza arroganza e senza la confusione dei livelli e degli approcci
specifici. Come già indicava Giovanni Paolo II nel 1988, “ciò che è
assolutamente importante è che ciascuna disciplina continui ad arricchire,
nutrire e provocare l’altra ad essere più pienamente ciò che deve essere e
contribuire alla nostra visione di ciò che siamo e dove stiamo andando”. Lo
confermava anche quel grande scienziato che fu Max Planck, il padre della
teoria quantistica: “Scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno
bisogno una dell’altra per completarsi nella mente di un uomo che pensa
seriamente”.