
Ma tale decisione, di attuare la verità in se stessi, non è presunzione. Non deve significare che ci si vuol far valere; che ci si atteggia a giudice sopra ogni questione, che si conosce tutto ciò che è meglio, che si critica tutto e che si dichiara infallibile il proprio modo di sentire e di intendere. Questa non sarebbe veracità ma boria. La nostra veracità deve essere al servizio di Dio. Il nostro «esser veri» è da intendersi nel senso che ci avviciniamo maggiormente e Dio. Noi vogliamo inverare la nostra essenza e la nostra esistenza col renderle a Dio proporzionate. Egli deve dominare in tutto ciò che facciamo e che siamo, tutto deve essere suo. Ciò avviene attraverso la veracità, ma solo se questa è conce pepita in spirito di sommissione. Non dobbiamo, tramite la veracità, andare in cerca di noi stessi ma di Dio, poiché egli è la verità. Allora la nostra vita diventa possesso di Dio. Se per esempio, qualcuno risponde lealmente ad una domanda, nella sua parola regna Dio. Se qualcuno fa ad un altro un grande servizio senza secondi fini, nella sua azione regna Dio. Quando due intrattengono tra loro una sincera amicizia, nella loro amicizia regna Dio. Potremo dunque dire che quando gli uomini sono schietti e si comportano e parlano e pensano sinceramente, dentro di loro si estende il regno vivente di Dio.
Romano Guardini Lettere sull’autoformazione, Brescia 1994, Morcelliana p.15-16
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