No. Di quante?
[…] Be', non saranno stati di venti nazionalità diverse, ma quasi. Alcuni non riuscivano nemmeno a comunicare tra loro. Pakistan, Senegal, Marocco, Egitto. Tanti pensano che i talebani siano afghani, Fabio, ma non è così. Ci sono anche afghani, tra di loro, ovvio ma non solo: sono ignoranti, ignoranti di tutto il mondo che impediscono ai bambini di studiare perché temono che possano capire che non fanno ciò che fanno nel nome di Dio, ma per i loro affari”
Dimmi qualcosa di più di questa signora. Descrivimi la sua casa.
Perché?
Come perché? A me interessa. Magari anche agli altri.
Sì, ma te l'ho già detto. A me interessa quello che è successo. La signora è importante per quello che ha fatto. Non importa il suo nome. Non importa com'era la sua casa. Lei è chiunque.
In che senso chiunque?
Chiunque si comporti così”
Sono, questi, due diversi passi del libro “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda. Si tratta, come dice il sottotitolo, della “Storia vera di Enaiatollah Akbari”, ragazzo afghano fuggito alle persecuzioni e alla paura imperante nel proprio Paese e giunto in Italia dopo un viaggio tanto pericoloso quanto pieno di speranza.
Il ragazzo racconta gli incontri avuti con uomini buoni e cattivi, accoglienti e opportunisti, e ciascuno di essi diventa, per lui, simbolo dell'agire umano.
Se nella storia di Enaiatollah viene ripercorsa la storia di tutti coloro che sono costretti a fuggire dalla propria patria per cercare condizioni di vita migliori, allora talebano è chiunque alieni la dignità umana per soddisfare i propri interessi.
Al contrario, un solo moto di affetto e di solidarietà che riconosca nell'Altro un fratello diventa simbolo dell'essere “umano” e riassume in sé il significato stesso della parola “Uomo”.
Ma se ogni atto deve rispondere alla domanda “è degno di un uomo?”, siamo consapevoli della portata e responsabilità di ciascun gesto verso un fratello?
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